Vogliamo che la legge arrivi in luoghi tenebrosi come Piazza-Italy,la chat italiana di Aol, dove si commettono violazioni vergognose dei dirtti civili.
lunedì 31 agosto 2009
Ancora Katrina
Quando i migranti eravamo noi
Quando i migranti eravamo noi. "I nostri morti gettati nell'oceano" Le storie Così il dramma dell'emigrazione resta scolpito nella memoria della comunità italiana d'Argentina - di GIULIA VOLA BUENOS AIRES - Loro muoiono nel Mediterraneo. Quando gli emigrati eravamo noi, morivamo nell'Atlantico. "Buttarono nell'Oceano donne, un bambino e molti vecchi, in tutto quasi venti persone. Così raccontava mio padre". Maria Dominga Ferrero vive in provincia di Cordoba, in Argentina, nella casa che suo padre comprò quando, nel 1888, arrivò alla "Merica" a bordo del 'Matteo Bruzzo'. Una casa con i muri bianchi, la cucina grande, le stanze ariose e l'orto nel retro. "In barca gli dicevano 'coma esto, gringo de mierda', mangia questo. Era pane e vermi. Vide morire di fame una donna incinta. Ma cosa poteva fare?". Maria parla un po' in piemontese e un po' in castigliano, mentre gira la minestra di verdure che bolle sul fuoco. "La solfa era la stessa. La differenza era che se sopportavi il male potevi fare suerte, fortuna. Non come capita agli immigrati che oggi vanno in Italia. A l'è vera? Non è vero?". La domanda rimane sospesa, Maria apre i cassetti, cerca ricordi. "Mio padre - dice - all'inizio vendeva la verdura che coltivava ma nessuno capiva la sua lingua. Così vendeva tutto a 5 centesimi". Loro, i sopravvissuti di oggi, vengono rinchiusi nei Cie, i Centri di identificazione ed espulsione. Noi finivamo negli Alberghi degli immigrati gestiti dallo Stato o nei Conventilli in mano ai privati. Felicia Cardano è molto anziana, ma ricorda bene i racconti di famiglia: "Mio padre arrivò a Buenos Aires nel 1889 a bordo del 'Frisca'. Durante il viaggio morirono il suo migliore amico e altre trenta persone. Lo misero all'Hotel della Rotonda, un enorme baraccone di legno, dove si stava stipati come sardine insieme ai pidocchi e alla puzza. Si poteva rimanere al massimo cinque giorni, il tempo di trovare un lavoro in città o nei campi, dove era più facile". Scenari confermati da Luigi Barzini che così scriveva sul Corriere della Sera nel 1902: "L'Hotel degli emigranti (lo chiamano Hotel!) ha una forma strana, sembra un gasometro munito di finestre (...). L'acre odore dell'acido fenico non riesce a vincere il tanfo nauseante che viene dal pavimento viscido e sporco, che esala dalle vecchie pareti di legno, che è alitato dalle porte aperte; un odore d'umanità accatastata, di miseria (...). Più in alto, le tavole serbano dei segni più vivi di questo doloroso passaggio: li direi le tracce delle anime. Sono nomi, date, frasi d'amore, imprecazioni, ricordi, oscenità raspati sulla vernice o segnati colla matita, talvolta intagliati nel legno. Il disegno più ripetuto è la nave; il loro pensiero guarda indietro!". Gli stessi graffiti ricoprono adesso le pareti dei Cie, memoria recente del transito dei migranti di oggi, stranieri di tutto il mondo, che lavorano nei cantieri, nei campi, nelle cucine dei ristoranti, nelle case, invadono i quartieri, contaminando le loro e le nostre abitudini. Noi, i "gringos" di allora, invadevamo "le passeggiate perché sono gratuite, le chiese perché credenti devoti e mansueti, gli ospedali, i teatri, gli asili, i circoli e i mercati": così scriveva infastidito all'inizio del secolo il sociologo argentino Ramos Mejía. Numeri alla mano, dal 1886 al 1889 gli emigrati partiti da Genova e sbarcati a Buenos Aires raddoppiarono da 43mila a 88mila. Nel 1897 nel porto argentino erano già sbarcati un milione di italiani. Nel 1895, su 660mila abitanti di Buenos Aires, 225mila erano dei nostri. In provincia di Cordoba i 4.600 del 1869 diventarono 240mila nel 1914. Muratori, fabbri, falegnami, calzolai, sarti, fornaciai, meccanici, vetrai, imbianchini, cuochi, domestici, gelatai e parrucchieri: non avevamo concorrenza. "Si lavorava da matin a seira e la domenica si andava a messa ben vestiti - raccontano le sorelle Fusero, nipoti di Bartolomeo arrivato a Buenos Aires il 22 novembre 1905, a 22 anni - . I bambini mangiavano il gelato, le donne bevevano la limonata e gli uomini il vermouth. Si cantava Quel mazzolin di fiori, La Piemontesina e Ciao bela mora ciao, si giocava a bocce e si chiacchierava. La sera si mangiava la bagna càuda e prima di andare a dormire si pregava: il parroco dovette imparare il piemontese perché le donne, non riuscivano a confessarsi. Nduma bin! Eravamo messi bene! Siamo nati tutti nella stessa camera, all'ombra di un magnolia nata da un seme portato dall'Italia". Centoventi anni dopo, i nuovi migranti inseguono in Europa il posto migliore dove vivere. Poi chiamano a raccolta il coniuge, i figli, il fratello, l'amico. Nel frattempo mandano i soldi a casa. "Noi, poveri e affamati di allora, andavamo a fare l'America - racconta la nipote di Giuseppe Caffaratti, torinese arrivato in Argentina nel 1890 a 15 anni - perché peggio di com'era in Italia non si poteva: era uno sgiai, uno schifo". "Emigravamo per mangè", racconta Reinaldo Avila, nipote di Giuseppe partito da Caraglio, in provincia di Cuneo, nel 1883. "Mio nonno era un contadino ignorante, si è spaccato la schiena nei campi. Oggi qui tocca ai boliviani e in Italia agli africani. È la vita". Loro, i profughi di oggi, scappano dalle guerre moderne, dalla miseria dell'Africa, dell'Asia e dell'Est europeo. Noi, vittime di allora, fuggivamo dalla Grande Guerra. Racconta Margherita Lombardi, nipote di Clelia scappata da Alessandria: "Mia zia perse un figlio in battaglia nel 1916 e un altro nel viaggio sull'Oceano. Si salvò solo lei". Si fuggiva dalle cartoline precetto, il terrore delle madri: "Meglio un figlio lontano ma vivo che vicino ma sotto terra, disse mia nonna a mio padre Fernando - racconta Gladis Fiacchini - . Siamo cugini di Renato Zero, ma abbiamo perso i contatti: mio padre non volle mai più ritornare indietro". Altri fuggivano dopo aver visto la morte in faccia. "Ci imbarcammo sulla 'Filippa' senza documenti e senza un soldo il giorno dopo che Miguel tornò dal campo di concentramento in Germania", ricorda Letizia Garessio. Suo marito, Miguel Bautista Pistone, argentino nato da italiani emigrati in America a metà '800, era tornato in Italia dopo aver fatto fortuna e durante la guerra era finito in un campo di concentramento: "Miguel era pelle e ossa - dice Letizia - , che cosa potevano fargli? Chi gli avrebbe impedito di salvarsi?". Gli dico che ora l'Italia respinge i profughi che vengono dal mare: "Meno male che siamo nati un secolo fa e che siamo scappati qui - commenta - . Miguel tornò in Italia solo una volta per vendere tutto e comprare una casa qui". "Mio padre scappò da Fossano e dalla guerra che gli aveva ucciso un fratello - racconta Antonio Caballero - , aveva 17 anni e fin dal primo giorno cominciò a dimenticare l'Italia. Non ho mai parlato con i miei parenti rimasti a casa. Non ho mai imparato l'italiano perché nessuno me l'ha mai insegnato. Nessuno di noi ha fatto fortuna, semplicemente siamo sopravvissuti". I migranti di oggi arrivano in Italia con il sogno di guadagnare per poter tornare in patria. Ma anche loro spesso finiscono per mettere radici. Come il nonno di Teresa Burdone, piemontese emigrato in Argentina alla fine dell'Ottocento: "Quasi tutti noi - dice Teresa - , figli o nipoti di italiani, abbiamo la doppia cittadinanza e un'altra vita da vivere, ma il cognome ci ricorda che siamo stranieri da sempre". LR 28 1 Articolo interessante :-)
A me il medico mi ha vietato tutti gli oli compreso olio d'oliva lol
The Healing Powers of Olive Oil
Discover The Amazing Powers of Olive Oil! Lose weight . . . Lower cholesterol and blood pressure . . . Prevent heart disease and cancer . . . and much, much more. In Italy olive oil always has been an integral part of the culture. But Italians also have long known of its health benefits and healing properties. Whether the problem is a case of sunburn, persistent earaches, or dry hair, Italians traditionally have turned to olive oil. Now, new research highlighting the healing qualities of extra virgin olive oil not only confirms these uses but also reveals even more beneficial effects from its use. Whether a malady is heart disease, diabetes, digestion, or age-related deterioration, olive oil has been shown to be beneficial in its prevention and treatment. In this book, The Healing Powers of Olive Oil, author Cal Orey has consulted top doctors, nutritionists, olive oil producers, and chefs, bringing together all you'll ever need to know about the healing powers of this liquid gold and showing you how to start improving your health right away!
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sabato 29 agosto 2009
A proposito del nostro bel mondo
The Best I found her biography in English
Biography of Anna Magnani | |
Anna Magnani(March 7, 1908 - September 26, 1973) was an Academy Award-winning Italian actress, with stage experience.BiographyBorn in Rome, she was brought up in poverty by her maternal grandmother in a slum district of the city. After some education at a convent school, she enrolled at Rome's Academy of Dramatic Art and sang in nightclubs and cabarets to support herself. Due to her work in nightclubs, Magnani was dubbed the Italian Édith Piaf. In 1927 she acted in the screen version of La Nemica e Scampolo. She had also been in the stage production. She met Italian filmmaker Goffredo Alessandrini in 1933 and the two were married in 1935. He was one of the first Italian filmmakers to adapt the new sound technology used in American cinema. Her marriage to Alessandrini ended in 1950, and she never married again. Magnani once said, "Women like me can only submit to men capable of dominating them, and I have never found anyone capable of dominating me". In 1941, Magnani starred in Teresa Venerdì, (“Friday Theresa”) which the writer and director, Vittorio De Sica, called Magnani’s "first true film". In it she plays Loletta Prima, the girlfriend of Di Sica’s character, Pietro Vignali. De Sica had called her laugh, "loud, overwhelming, and tragic". She had worked in films for almost 20 years before gaining international renown as 'Pina' in Roberto Rossellini's neorealist milestone Roma, Cittá Aperta. (also known as Rome, Open City, 1945). Her harrowing death scene remains one of cinema's most devastating moments. In Italy (and gradually elsewhere) she soon became established as a star, although she lacked the conventional beauty and glamour usually associated with the term. Slightly plump and rather short in stature with a face framed by unkempt raven hair and eyes encircled by deep, dark shadows, she attracted through her seething earthiness and volcanic temperament. Magnani was Rossellini’s second choice to play the role of Pina. He had originally wanted Clara Calamai, the lead of Ossessione, (a part Luchino Visconti had originally offered Magnani) but she was already under contract and working on another film. Rossellini almost had to resort to his third actress choice because Magnani demanded she be paid the same amount of money the male lead, Aldo Fabrizi was getting. The difference in salary was only 100,000 lire, and was really over principle more so than price. Rossellini, whom she called, "this forceful, secure courageous man", was her lover at the time, and she was to go on and collaborate with him on other films. Other collaborations with Rossellini include L'Amore, a two part film from 1948: The Miracle and The Human Voice (Il miracolo, and Una voce umana.) In the former, Magnani, playing a peasant outcast who believes the baby she's carrying is Christ, plumbs both the sorrow and the righteousness of being alone in the world. The latter film, based on Jean Cocteau's play about a woman desperately trying to salvage a relationship over the telephone, is remarkable for the ways in which Magnani's powerful moments of silence segue into cries of despair. One could surmise that the role of this unseen lover was Rossellini, and was based on conversations that took place throughout their own real-life affair. In 1951's Luchino Visconti's Bellissima she plays Maddalena, a blustery, obstinate stage mother who drags her daughter to Cinecittà for the "Prettiest Girl in Rome" contest. When she realizes that the studio heads are laughing at her daughter's screen test, a shattering close-up of Magnani's face reveals rage, humiliation, and maternal love. She starred as Camille, a woman torn between three men, in Jean Renoir’s 1953 film Le Carrosse d’or (also known as The Golden Coach). Renoir called her “the greatest actress I have ever worked with.” As the widowed mother of a teenage daughter in Daniel Mann's 1955 film of Tennessee Williams's The Rose Tattoo, Magnani's adroit, mercurial performing offsets the hammy Method acting style of co-star Burt Lancaster. It wasn’t until then that she broke into Hollywood mainstream cinema with her first English speaking role. Playing Serafina Delle Rose in The Rose Tattoo, she won the Best Actress in a Leading Role Oscar. Tennessee Williams wrote it and based the character of Serafina on Magnani, since the two were good friends. It was originally put on stage starring Maureen Stapleton, because Magnani’s English was too limited at the time for her to star. Magnani worked with Williams again in his 1959 film, The Fugitive Kind, where she played Lady Torrance and starred opposite Marlon Brando. The Wild, Wild Women (1958) is notable for pairing Magnani, as an unrepentant streetwalker, with Giulietta Masina in a women-in-prison film. In Pier Paolo Pasolini's Mamma Roma (1962), Magnani is both the mother and the whore, playing an irrepressible prostitute determined to give her teenage son a respectable middle-class life. Mamma Roma, is one of Magnani's critically acclaimed films, yet it wasn’t released in the United States until 1995, for having been deemed too controversial. It was after this role along with her many other parts of playing poor women that Magnani was quoted in 1963 as having said, “I’m bored stiff with these everlasting parts as hysterical, loud, working class women.” Magnani made her final film performance as Rosa in The Secret of Santa Vittoria. Towards the end of her career, Magnani was quoted as having said, “The day has gone when I deluded myself that making movies was art. Movies today are made up of…intellectuals who always make out that they’re teaching something.” She died at the age of 65 in Rome, after a long battle with pancreatic cancer. A huge crowd gathered for her funeral in a final salute that Romans usually reserve for Popes. She was provisionally laid to rest in the Roberto Rossellini's family mausoleum, her favorite director and longtime friend. She now rests in the Cimitero Comunale, San Felice Circeo, Lazio, Italy. |
Book Description
Perché dopo tanti anni si parla ancora di Anna Magnani? Perché è stata l’attrice simbolo del cinema italiano del dopoguerra, il cinema della ricostruzione e del riscatto, e una delle più grandi attrici di tutti i tempi, capace di comicità sfrenata e di profonda drammaticità. Di lei gli italiani, da più di cinquant’anni, hanno nella mente, negli occhi e nel cuore quella corsa disperata dietro il camion tedesco che metteva la parola fine al suo più grande personaggio, ma anche la sua risata ora irridente, ora canzonatoria, ora gioiosa: la risata di Nannarella. Questa biografia – già uscita con grande successo nel 1981, ora riveduta e integrata da nuovi documenti e testimonianze – narra i suoi amori drammatici, esclusivi, travolgenti; i suoi dolori laceranti, le sue gioie sfrenate, le sue improvvise voglie di giocare e il suo drammatico disincanto
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